Concorso ÀCÀRYA 2012
4° Concorso Nazionale ÀCÀRYA di Poesia Inedita - 2012


La premiazione del Concorso si è tenuta domenica 10 giugno,
presso il salone della Circoscrizione n°6, in via Grandi 21 a Como.


 

VETRINA

 

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Leggi il resoconto del lavoro di giuria.

SEZIONE POESIA IN LINGUA ITALIANA, UNDER 35

1° classificata
MIRACOLI NUOVI
di Francesca Parravicini
Lipomo [Co]

Attraverso gli occhi di uno sconosciuto
ho visto un angelo con le ali di carta
ballare nel fango, in mezzo a un popolo
muto di fiori di loto.
Ho visto paradisi di lice, tra le retrovie
del mercato in un giorno di pioggia
lo spirito di un bambino, che vive
incastrato in una bicicletta
abbandonata ai bordi di una ferrovia:
sopra gli scivoli di un parco giochi
era riflesso un cielo di un blu violento.
E cosa resta a noi, se non un inferno
di sorrisi, visi lividi, illuminati dai neon
vesti pesanti di velluto rosso, corone
di caramelle intrecciate su teste di
stupidi, voci, voci e ancora voci
che parlano di tutto, parlano di niente.
Voglio tornare in quella notte silenziosa
sotto una luna piena imbevuta di acqua
affogare tra le rovine della città.

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Per essere una giovane scrittrice di 22 anni, Francesca Parravicini si cala dentro a un immaginario decisamente adulto e moderno, con una fitta serie di visioni che lasciano un senso di turbamento. Il tempo sembra immobile, fissato dentro a una serie di scatti fotografici, che poi si animano miscelando lirismo e immaginazione. Apparentemente l’inquadratura surrealista si muta in un tessuto espressionista dai colori violenti, stemperato soltanto nel finale, dove la protagonista si cala nella sua notte, mentre intorno tutto è in rovina. Un ritorno all’acqua che ha donato la vita al mondo. Un rifugio in attesa di una nuova era, perché il nuovo inizio sarà la creatività dell’artista. Una penna giovane che potrà ridisegnare il futuro con i suoi miracoli nuovi.



2° classificata
CHIARA
di Francesca Usardi 
Brescia

Dove sei?
Sono davanti, ma dietro gli altri.
Cosa fai?
Sono stanca di aspettare che qualcuno mi chiami,
così chiudo gli occhi per non vedere,
per non dormire.
Che giorno è oggi?
È il mio compleanno,
ho riso dopo tanto tempo,
oggi indosso la maglia
che rappresenta i miei amici del mio mondo di bontà.
E di solito?
Porto la maglia di una squadra,
diversa dalla loro,
ma non so perché è così dalla nascita.
Cosa desideri?
Vorrei giocare per esprimere quello che sento,
a me non servono parole.
 

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Francesca Usardi sceglie un tessuto narrativo decisamente teatrale, inserendo un dialogo con un buon senso del ritmo. Ottima è la sintesi che esprime concetti ben definiti intorno al mondo di Chiara, la protagonista della storia. La vita intesa come competizione, rimane in equilibrio sullo stereotipato concetto se sia più importante partecipare che vincere. Ma la vittoria finale è la vita stessa, e l’affrontarla come se fosse un gioco va al di là delle consuete parole che la riempiono. Una sorta di contraddittorio con la lirica stessa che invece, con le sue frasi, ci fa conoscere altre parole, probabilmente più vere. Il resto viene concluso dall’immaginario dell’eventuale lettore, inserendo nel suo parlato quotidiano, altre storie, altri giochi per completare il mondo che ne esce.



3° classificata 
COME POSSO DARE UN NOME ALLA MIA RELAZIONE?
di Valeria Pollutri
San Salvo [Ch]

Si distendono le percezioni e la calma,
calma steppa bruciata incanta, incanta. Accende.
Ventagli e sonagli, cristalli di carne. Eccomi e tu… Accendi.
I cadaveri si sciolgono, colano, transito d’anime, transito e traffico.
Si scalda, e fa caldo, poi è freddo, poi ti sento. Poi la morte, il soffio, i prati.
Le menti, le mani, le more, l’amore. La rabbia, la luce, il buio e si nuota.
Mare insaponato, bolle e sirene che cantano, urlano. Alta marea.

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Valeria Pollutri si chiede come dare un nome alla sua relazione, ma probabilmente la sua domanda non troverà una risposta. Il tutto ruota intorno a un gioco di assonanze e rimandi, brividi, colori ed emozioni furtive, sogni e realtà, pause, rumori, silenzi. La musicalità interiore del verso esprime e non esprime nello stesso tempo, perché il tema centrale rimane sempre l’ambivalenza dell’amore e del suo continuo nutrirsi di gioia e sofferenza.



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Poesie segnalate
con una particolare menzione

MERIGGIO A SAN QUIRICO
di Gabriele Fratini
Roma

Umido e denso sapore della nebbia
ove una sconfinata giovinezza di margherite
addenta i campi affumicati dietro il borgo
Il soffice mattino di cristallo agghinda
il fusto solitario, unico torrione delle lepri.
Uccelli rasoi del maggio immortale
picchiano sul golfo grigio del pensiero
sostando nell’immoto essere del fango,
brulichio di nervi, dell’idioma il grido ancestrale
sparge feroci atrocità immemore del fumo
nella grotta madre. Terra terra terra
Benigna casa per cui combattere i vermi
e le razze, angoscia putrida del vomere
glorioso dello stagno, antiquate zolle
reali, si battono le fiere a mezzodì,
si volgono i fuochi in lanterne,
brivido storpio in un profluvio andante
di fulgidi stormi leggeri. Soave movimento
del cielo ove il cielo signoreggia tra i predatori,
muschio ruvido della velata foschia silvana
bagno agreste di polvere sontuosa
scuote ogni ombra della valle.
 

SCIAGURA
di Nicola Orofino
Ravenna

 Rotola la palla; Mirko la segue
Non sa che non conviene correre troppo veloce
Rotola la palla; Mirko la segue
Suo babbo sta parlando con amici
Rotola la palla; Mirko la segue
Una signora in bicicletta gli sorride
Rotola la palla; Mirko la segue
Una bambina da lontano lo vede
Rotola la palla; Mirko la segue
Se solo la strada fosse piatta e distesa!
Rotola la palla; Mirko la segue
La signora della frutta osserva la scena
Rotola la palla; Mirko la segue
Una guardia giurata torna a casa dal lavoro
Rotola la palla; Mirko la segue
Un uomo o forse un angelo è lì per fermarla.
Mirko afferra la palla e corre, ridendo.


UN ADDIO
di Stefano Vicelli
Gattico [No]

Ti ho vista sorridere, nel cemento
si e' fatto sordo il tuo passo.

Ho chiuso gli occhi,
ed ero la tua meta

 

SEZIONE POESIA DIALETTALE

1° classificata
LUNA CHE REBOCCA 
[dialetto brianzolo]
di Giulio Redaelli
Albiate [Mb]

Passa ’l dì in robb de pocch
on nient de stori mai cuntaa
cusii sui sferì de tanti stagion
ai laber ranf svergelent
sangott d’eternità – forse
l’ultim regoeuj d’autunn
Scrusciaa in di penser
stò come strasc de tera umida
stenduu sui bacchett de la stua
a sugà lacrim e oss
intant ona scighera d’ann
la picca nostalgia
a l’us’c de la memoria
la voeur portamm via
con la panzana de la gamba d’ora
del lumin in fond al vial
e mì se strengi al boff del sogn
a la luna speggiada sul mur
che la par reboccà crepp
ormai vegg in del coeur
de la pagura. E mia mama lì
ombra ciara sul veder de la nott

LUNA CHE RINZAFFA
Passa il giorno in cose da poco / un niente di storie mai raccontate / cucito sugli strappi di tante stagioni / alle labbra formicolio pallido / singhiozzo d’eternità – forse / l’ultimo raccolto d’autunno / Rannicchiato nei pensieri / sto come straccio di terra umida / steso sulle bacchette della stufa / ad asciugare lacrime e ossa / intanto una nebbia di anni / bussa nostalgia / all’uscio della memoria / vuole portarmi via / con la favola della gamba d’oro / del lumino in fondo al viale / ed io mi stringo al soffio del sogno / che sembra rinzaffare crepe / ormai vecchie nel cuore / della paura. E mia mamma lì / ombra chiara sul vetro della notte


2° classificata
PAN E NUUS
[dialetto di Pigra - Valle Intelvi - Como]
di Rosa Maria Corti
Lenno [Co]

Aria ca sent da frecc, da nef,
scandra e büla da castagn sul riscioeu.
Un petpula da stèll a stèll,
ginoeucc ca mogna e tencà,
una funzion da duluu e stracadà.
Proeuf al foeuch la cunsolazion
e mèe carputaa par chi careza
mangià da spuus: pan e nuus.

PANE E NOCI
Aria che ha sapore di freddo, di neve, / cenere e bucce di castagne sulla via acciottolata. / Tanto lavoro dall’alba al tramonto / ginocchia che si lamentano e fatica a respirare, / una processione di dolori e sfinimento. / Vicino al fuoco la consolazione / e mani piene di rughe sembrano accarezzare / mangiar da sposi: pane e noci.


3° classificata
CAMINÀ DRÉ AL TEMP
[dialetto bresciano]
di Dario Tornago
Brescia

De per mé cönt
con endòs en visit
che pòde mìa cambià,
camìne dré al temp
e fùle ’l sberlongàs
de umbrìe de müradèi
che zöga a cip col sùl e co’ la lüna
ne l’entàt che per mé
rìa l’utùer, quand che vé sera:
tròp de ónda, và i mé pàs.

Spete che la séra la sa ’mpìse,
che la dèrves la finestra
e la sa ’nquàce zó a brasàm.
Slónghe la ma,
empìse ’na löm
e varde risbaldìs le umbrie,
perché j-è ùs de verità.
Isé le paròle dei dé
le tùrna a uzà,
e le ma süsüra al cör.

CAMMINANDO LUNGO IL TEMPO
Solo, / con addosso un abito / che non posso cambiare, / cammino lungo il tempo / e calpesto l’allungarsi /d’ombre dei muretti / che giocano a nascondino / col sole e con la luna / mentre per me / si fa ottobre (1), al tramonto: / troppo veloci, i miei passi. // Aspetto che la sera si accenda, / che apra la finestra / e si chini ad abbracciarmi. / Allungo la mano, / accendo un lume / e guardo risvegliarsi le ombre, / perché la loro voce non mente. / Così le parole dei giorni / tornano ad urlare, / e mi sussurrano al cuore.

(1) per “autunno”, non usato in bresciano.


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Poesie segnalate
con una particolare menzione

UTÙER
[dialetto bresciano – sud Garda]
di Renato Laffranchini
Lonato del Garda [Bs]

Utùer quacia i cios
de nebia primaröle,
se mòla nel vent
l’udur del bosch
con töte le so us,
ramaja smarsida
la se ’ngropa
sö rie trabatide.
Ne la mace
amò verde
‘n paesà serca
‘n chèl mismàs /endömie perse.

Scapa apò i bisèi
da tane desfade
e ròs de stornèi
sö sentér misterius
i se slontana compagn
de ’na litanìa
cöntada sotaus.

OTTOBRE
Ottobre copre i campi / di nebbie precoci / si scioglie nel vento / il profumo del bosco / con tutte le sue voci / e ramaglia marcita / si attorciglia / sulle rive grondanti umidità. / Nelle macchie / ancora verdi / un contdino cerca / in que groviglio / vendemmie perse. // Scappano anche insetti / dalle tane distrutte / folate di stornelli / su rotte misteriose / si allontanano come / una litania / recitata sottovoce.


ULTIMA TERRA
[dialetto milanese]
di Renato Baroni
Milano

On ventisèll legger da in fond al foeu,
tutt i ann, in ’sta stagion,
el rivava per carezzà i pobbi,
per fà i galitt ai fior,
girà per la stalla, sòtta el pòrtegh,
saludà paisan e masser,
per imbibì el respir de la campagna
e somenal in gir per el Mond.

Incoeu l’è rivaa, ma l’ha trovaa
ona terra secca, dura,
senza paisan de saludà,
né òcch, né buscin,
senza l’ombra d’on bagaj
che giuga a pee biòtt su l’era,
senza fen in de la stalla,
né pobbi de carezzà.

E allora l’ha taccaa a boffà fòrt,
a trà all’ari la terra de la cort,
a ingarbià i ram
de la sces lassada andà,
a sbatte el porton de la stalla
e a ciamà chi ormai è andaa via.
El se dà minga pas,
el boffa sòtta el pòrtegh,
el fa sgorà on cartèll
con su el progett d’on palazz
fina a quand, senza brancad de vitta
de somenà sul Mond,
el sfiora i rusp,
el passa in mezz ai gtu
per poeu tornà, rabiaa,
d’indoe l’è vegnuu.

ULTIMA TERRA
Un venticello leggero dal fondo dei campi, / tutti gli anni, in questa stagione, / arrivava per accarezzare i pioppi, / per fare il solletico ai fiori, / girare per la stalla, sotto il portico, / salutare contadini e massaie, / per assorbire il respiro della campagna / e seminarlo in giro per il Mondo. // Oggi è arrivato, ma non ha trovato / una terra secca, dura, / senza contadini da salutare, / né oche, né vitelli, / senza nemmeno un ragazzo / che gioca a piedi scalzi sull’aia, / senza fieno nella stalla, / né pioppi da accarezzare. // E allora ha cominciato a soffiare forte, a sollevare la terra della corte, / a ingarbugliare i rami / della siepe abbandonata, / a sbattere il portone della stalla / e a chiamare chi ormai è andato via. / Non si dà pace, soffia sotto il portico, / fa volare un cartello / col progetto di un palazzo / fino a quando, senza manciate di vita / da seminare sul Mondo, / sfiora le ruspe, / passa in mezzo alle gru / per poi tornare, arrabbiato, / da dove è venuto.


’L VÈNT, ’NÀ ’ÙS
[dialetto della bassa bresciana]
di Domenico Pari
Gambara [Bs]

‘L vènt,
‘ncö
‘mà sifùla ’n dè j’urecé
‘nà cànsù,
là tò cànsù.

Mà sümèa
dè sèntèr là tò ’ùs
là, ’nsima ’l grànér
‘n tàt chè tà sét dré
a dèstèndèt
töta quànta là bügàda
chè tà ghét àpéna laàda.

O dè sintila lé
‘n dè l’éra
sóta là bàrchèsa
‘n doè sèntàda zó
‘n mès ài cànòcc,
tà dèscàrtusàet è tà fàèt zó
‘l furmèntù cùi mòi
‘nsèma a töte j’ótre fonné.

Là, ’n cusìna
‘n sö ’l pànàdèl dèl föc
ghè amó ’l stàgnàt dè là pulènta
‘öt, frèt, cumpàgn dè ’l mé cör
chè ’l sà ’àrda ’nturèn
per ’édèr dè truà ’àrgü
dè pudì fàga ’nsèma
trè o quàtèr ciàculàde.

No, l’è miga la tò ’us chè sènte,
l’è ’n imprèssiu,
té, tà gà sét miga pö ché cun mé,
tà sét zà ’ndàda inàncc,
tà sét riàda ’n fónt ’l tò sàpèl.

È mé, só ché à spèta
chè ’l tép ’l pàse,
chè mà sà scürte la guciàda,
pèrchè mà mànca fés
l’ótèr tòc dè là mé ’ècia cumpàgnia.

L’è isé frèda ’st’invèrnu
là mé càsa sènsa pö nüsü
chè mà gira ’nturèn
è mà bruntulàa dré
quànt cumbinàè ’àrgót
chè ’àndàa miga bé dèl töt.

L’è bröt dè màt
stà dè pèr lur ’n dè ’n càntù
cumpàgn dè ’n cà apéna bàstunàt.

Dài, vé a töm prèst,
apéna chè tà pödèt,
mé, só sèmpèr chè à spètàt
apéna chè tà rièt.

IL VENTO, UNA VOCE
Il vento, / oggi, /mi fischia nelle orecchie / una canzone, / la tua canzone. // Mi sembra / di sentire la tua voce / là, sopra il granaio / mentre stai / stendendo / tutto quanto il tuo bucato / che avevi appena lavato. // O di sentirla lì / nell’aia / sotto il portico / dove seduta / seduta in mezzo ai gambi / stai scartocciando e sgranando / il granoturco con i torsoli / insieme a tutte le altre donne. // Là, in cucina / sopra il gradino del focolare / c’è ancora il paiolo della polenta / vuoto, freddo come il mio cuore / che si guarda attorno / per vedere di trovare qualcuno / con cui poter fare insieme / due o tre chiacchierate. // No, non è la tua voce che sento, è una impressione, / tu, non sei più qui con me / sei già andata avanti / sei arrivata in fondo al tuo percorso. // Ed io, sono qui ad aspettare / che il tempo passi, / che mi si accorci il tempo dell’attesa, / perché mi manca tanto / l’altra parte della mia vecchia compagnia. // È così fredda quest’inverno / la mia casa senza più nessuno / che mi gira attorno / e mi sgridava / quando combinavo qualcosa / che non andava bene del tutto. // È brutto da matti / stare da soli in un cantuccio / come un cane appena bastonato. // Dai, vieni a prendermi presto / appena che ti è possibile, / io, sono sempre qui ad aspettarti / appena tu arriverai.

HAIKU

1° classificato
RIVE ROVENTI
di Rosa Maria Corti
Lenno [Co]

Rive roventi,
frinire di cicale.
Un anno in più.
 

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Rive roventi è un haiku che rasenta la perfezione. Esprime con chiarezza la rude realtà del tempo che passa… tra le sponde che ognuno di noi immagina secondo le proprie esperienze.



2° classificato
SONO ENTRATA
di Ornella Fiorentini
Ravenna

Sono entrata
nell’anima deserta.
Ardo di sete.
 

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Entrare nell’animo deserto e ardere di sete è un’immagine chiara con lo spirito vero dell’haiku e con la forma perfetta. La giuria unanime le assegna il secondo premio.



3° classificato
FIUME DI VITA
di Monica Orsi
Desio [Mb]

Fiume di vita:
setaccio le ore, i giorni
d’oro lucente.
 

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Un bellissimo haiku, traccia il percorso della nostra vita con una speranza straordinaria. La perfezione delle sillabe insieme all’ottimismo della sua luce non può che riempirci di gioia.



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Haiku segnalati
con particolare menzione

PALLE DI NEVE
di Antonio Villa
Formia [Lt]

Palle di neve
tra risa di ragazzi.
Festa del bianco.

 

SI SPOGLIA LESTO
di Sonia Tortora
Andora [Sv]

Si spoglia lesto,
il timido cigliegio,
e' gia' autunno
 

CAREZZA
di Bruno Centomo
Santorso [Vi]

cade da nube
rumore di polvere
voce di pioggia
 

SILENZI DOLCI
di Arjan Kallço
Korçë [Albania]

Silenzi dolci
Errano sulla strada
La foglia muore
 


POESIA PER IL FUTURO
sezione riservata alle scuole primarie

Sono state premiate: 

La classe 5° A
della scuola primaria Gianni Rodari di Saronno
Istituto Comprensivo Ignoto Militi
anno scolastico 2010/2011


insegnante

Rosa Angela Greco 

Alunni

Sofia Basilico, Maoly Carranza, Silvia Colmegna, Giovanni Garlaschini,
Sara Mattiuz, Beatrice Nobili, Giacomo Rapisarda, Francesca Vicentini, Gaia Cerri,
Annalisa Bernardis, Letizia Colombo, Elettra Ghidoni, Mattia Merlini,
Sara Ostini, Elisa Saponara, Giacomo Volontè, Michelle Bonciani, 
Mattia Chiricolo, Lorenzo Falcone, Sara Latronico, 
Simona Morello, Mauro Petrozzino, Anna Timis
 

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e la classe 5°
della scuola primaria di San Pietro Sovera
Istituto Comprensivo di Porlezza
Anno scolastico 2011/2012


Insegnante

Giuseppina Pigazzi 

Alunni

Rachele Bassi, Giada Bracco, Funda Celik, Pietro Crosta, Mattia Di Pasquale, 
Alessia Gandola, Omar Laamouri, Alyssa Migliore, Rocco Nogara,
Riccardo Sala, Luca Scaramazza, Riccardo Schiesaro, Gabriela Sommariva Cardoso,
Veronika Spiatta, Ambra Travella