[fissa per preferiti]

Spazio Libero


Polvere lunare

a cura di Claudio Stanardi

Saturno V

(conto alla rovescia) -10 -9-8-7-6-5-4-3-2-1-
ZERO

Voce declamante:
Tutti questi temerari uccelli che volano là in lontananza, in estrema lontananza a un certo punto non potranno più andar oltre e si appollaieranno sull’albero di una nave o su un piccolo scoglio e grati per giunta di questo misero rifugio! Ma a chi sarebbe lecito trarne la conclusione che dinanzi a loro non c’è più nessuna immensa libera via, che essi sono volati tanto lontano quanto si può volare? 1

Conferenziere:
Attualmente si può dire che abbiamo abbandonato quel modo di pensare che ci portava ad immaginare dei possibili futuri per rifugiarci in confortevoli costruzioni di passati alternativi. È lo stratagemma narrativo del “what if”, cosa sarebbe successo se…
Cosa sarebbe successo se Hitler avesse vinto la guerra
Se Elvis Presley non fosse morto
Se gli antichi egizi avessero scoperto la polvere da sparo
Se gli alieni fossero venuti a conquistare la terra ai tempi di Napoleone
Sono fantasie oziose, dei bei giochi di società, a volte utili per capire meglio il presente in cui si vive ma prive di quella visionaria forza propulsiva che ci permette di vedere oggi come sarà il domani. "Forse che siamo volati tanto lontano quanto si può volare?"

XX secolo. La fantascienza fioriva… ma fioriva anche la scienza, al punto che diventava sempre più difficile giudicare nei testi fantascientifici, dove finiva la scienza e dove incominciava la fantasia. Le V2, il radar, il sonar, le bombe atomiche, la clonazione,le modificazioni genetiche i satelliti artificiali orbitanti nello spazio, mandare l’uomo sulla luna. L’ anno 2000 era visto come l’anno del futuro ma arrivò troppo tardi. Quando girammo i calendari un senso di delusione inconscia era diffuso fra noi, cosa potevamo aspettarci ancora? Una qualunque persona al passo coi tempi poteva disporre di oggetti avverinistici quanto e più di ciò che aveva mostrato un qualunque film di fantascienza visto fino a quel momento.
Pannelli solari, computer, internet, compact disc e masterizzatori, tivù a schermo piatto, telefoni cellulari, forni a microonde, navigatori satellitari, telecomandi per tutto dalla porta del garage al condizionatore d’aria. E anche la realtà sociale, grande forza della migliore fantascienza era ormai oltre. Ogni bizzaria che un autore s’inventava per dare credibilità alle sue storie ambientate nel futuro sono ormai ordinaria realtà o adirittura sono il nostro passato. Attori di hollywood che diventano presidenti degli USA, un negro alla casa bianca, matrimoni omosessuali e partiti neonazisti cosa si può immaginare di improbabile che non sia già scritto in un qualunque trafiletto di giornale. Cosa ci possiamo immaginare? Di andare sulla luna? Ci siamo già andati sulla luna. Ne abbiamo ricavato alcune foto molto suggestive e dei sassi. Cosa ci aspettavamo?

Voce declamante:
una variazione di velocità
un cambiamento di stile
un mutamento di scena senza rimpianti
una posibilità di osservare, ammira la lontananza
colori differenti, sfumature differenti
io che questa volta vedo me
sperando in qualcos’altro.2

Il futuro non nasce perché c’è troppo passato.
Viviamo in un epoca che ha trovato il modo di conservare tutto.
Il problema della storia è un po’ il problema della storia dell’arte, anche di quella di consumo. Si dice che non conoscere la storia sia il modo migliore per ripeterla. A un certo livello è sicuramente così, ma per altri aspetti sembra che siamo ormai entrati in una fase di riciclo della seconda metà del ventesimo secolo. Guardiamo i più giovani ascoltano musica di 40 anni fa, come se fosse roba di oggi. Possiamo immaginare un ragazzo degli anni 60 che ascolta del charleston o si veste come il grande gatsby? Elvis presley al tempo della sua morte, faceva spettacoli per gente di mezz’età ed era lontanissimo dalla cultura giovanile che nel '77 non era già più quella di Woodstock e degli hippies, ma quella dell’allora nascente punk. È perche non sappiamo più distinguere tra ciò che ha valore e ciò che non ne ha che siamo forzati ad immaganizzare tutto. Così tutto ciò che era scomparso riappare, una serie di telefilm, un tipo di abbigliamento, un quadro di Leonardo, un design d’automobili, jingle pubblicitari, ma non ha più lo stesso senso e non è più legittimato dalle logiche del suo tempo. Siamo nell’ordine di un feticismo che non ha più fine.
Come ben sa chi si accinge a un viaggio (dal turista all’emigrante, dal pionere al conquistatore, dall’esploratore al missionario) si parte portando il necessario, il resto lo si troverà o costruirà giunti alla meta. Ma noi così carichi di bagaglio non riusciamo più a muoverci.

Voce declamante:
E dove vogliamo dunque arrivare? Al di là del mare? Dove ci trascina questa potente brama, che per noi è più forte di qualunque altro desiderio? 1

A due voci:
- ci stavamo avvicinando.
- a cosa?
- alla luna!
- come fai a dire che fosse la luna?
- dannazione! Era la luna, sicuro, cos’altro poteva essere?
- uno stagno, un pozzo…(declamatorio):
        "la luna è nel rigagnolo
        e le stelle lavano la fogna
        la luna mi acceca con catarrate di opale
        così lontano da casa." 3

- non c’era acqua, solo polvere, sassi, rocce, rocce lunari. Non una sola goccia d’acqua.
- allora menti. L’hanno trovata! Acqua , ghiaccio.
- era freddo. E non c’era nessuno, ovunque guardavi, la puoi immaginare una cosa simile?
- era bianca? Argentea?
- bianca.
- bugiardo, è grigia.
- forse grigiastra. Lasciai un’impronta, per fotografarla.
- e non poteva essere una cava di cemento?
- non c’era ossigeno. Un posto dove non respiri, da qui non puoi capire.prima eravamo isolati, là nello spazio. Poi arrivammo.
- (ironico) sulla luna.
- sulla luna. Ed era bellissimo essere così leggeri, camminare senza sentire il peso di sé stessi

(declamatorio):
"La gravità qui è proprio malata di vendetta, mi sento i polmoni pieni di catene
il cielo mi sembra così basso, riconosco le stelle nel cielo, sembrano fori in una caverna,
sono come il soffitto di una chiesa distrutto da un bombardamento, un mondo senza
gravità è ciò di cui avrei bisogno, vedrei le stelle passarmi accanto, vedrei la terra che si
allontana. Voglio un bianco purissimo." 4

Apollo 11è stata la missione che ha portato i primi due terrestri su di un corpo celeste diverso dalla terra. Il 20 luglio 1969 le gambe del modulo lunare poggiano su di una superfice solida. La telecamera del modulo lunare trasmette in diretta una scena un po’ nebbiosa, in bianco e nero, ma resa chiarissima dall’immaginazione di seicento milioni di spettatori che la seguono in gran parte del mondo.
Indossata la tuta,depressurizzato il modulo lunare l’astronauta di nome Armstrong scende i nove gradini della scaletta metallica . tocca il suolo lunare con il piede sinistro. Le sue impronte nella finissima polvere nera rimarranno come un monumento per tutta l’esistenza della luna. Non c’è aria per cancellarle.
Pronuncia una frase, appena toccato il suolo: è un piccolo passo per l’uomo, un balzo gigantesco per l’umanità.5 Questa frase è una delle cose più importanti che ci sono rimaste di quell’impresa e probabilmente è stata concepita negli stessi uffici che sfornano slogan per le bibite gassate, per le campagne presidenziali o per Hollywood.

Strip-tease di sogno: la donna dello spazio. Danzerebbe nel vuoto, il non plus ultra sarebbe una donna nell’assenza di gravità, perché più si muove lentamente, più una donna è erotica. 5

- affascinante… ma in sostanza come ci si sentiva a trovarsi sulla luna?
- trovarsi sulla luna? Era come essere qui.
- non mi dica. Una storia piena di implicazioni. Non si può fare a meno di chiedersi se avevamo ragione di abbandonare questo pianeta. Mi ricordo della domanda posta dal pittore cileno Matta: perché, allo scopo di capire i tempi in cui viviamo, dobbiamo temere un disastro nello spazio.6

Voce declamante:
"Crash
Un certo suono si è fermato di colpo
Un’assenza assordante, una mazzata
Al silenzio risponde altro silenzio
C’è troppo nulla qui
Il blackout si fa angosciante come amnesia
Segnale terribile
Visione da ricordare
Il centro è perduto
Un grande urlo solca lo spazio
Come un gelido fulmine
I pezzi di paura al loro giusto posto
Passare oltre e basta, fino a raggiungere
La fase successiva
Ma diretti dove? Ecco è già tutto stabilito
C’è bisogno di un’interruzione
Dobbiamo andare avanti
O rimanere al sicuro? " 7

E così arriviamo ad un’altra paralisi, un’altra forma di controllo sociale sotto forma di ricatto alla vita e alla sopravvivenza: la sicurezza. Mummificato nel suo casco, le sue cinture, i suoi attributi della sicurezza, il guidatore non è più che un cadavere, chiuso in un’altra morte, non mitica questa: neutra e oggettiva come la tecnica, silenziosa e artigianale. Saldato alla sua macchina, inchiodato su di essa, non corre più il rischio di morire, perché è già morto. Qui è il segreto della sicurezza, come della bistecca sotto cellofan: avvolgervi in un sarcofago per impedirvi di morire.
Tutta la nostra cultura tecnica crea un ambiente artificiale di morte. Non soltanto gli armamenti, che rimangono ovunque l’archetipo della produzione materiale, ma anche la tecnologia spaziale, l’universo delle comunicazioni e dell’informatica e i minimi oggetti che ci circondano costituiscono un orizzonte di morte. Ormai indissolubile perché cristalizzata e al sicuro.5
Guarda il mondo intorno a te, cosa vedi? Un interminabile parco a tema, dove tutto è stato trasformato in intrattenimento. Scienza, politica, educazione sono altrettante giostre di una fiera. Per quanto triste, la gente compra i biglietti e sale a bordo.
È comodo. Non comporta sforzi, non riserva sorprese. Tuttavia gli esseri umani non sono fatti per la comodità. Abbiamo bisogno di stress, di tensione, d’incertezza.
Sfide. Nel domani sconosciuto, è lì che dobbiamo andare. Invece il ventesimo secolo si protrae. Influenza tutte le nostre azioni, il nostro modo di pensare. Non c’è una sola cosa buona da dire in suo favore. Guerre genocide, metà del mondo ridotta in povertà, l’altra metà che avanza come una sonnambula verso la propria morte cerebrale. Il novecento è stato sicuramente l’età della plastica, una materia non degradabile, che interrompe il ciclo che trasferisce, attraverso la putrefazione e la morte, tutte le sostanze del mondo dall’una all’altra. Una materia fuori ciclo, di cui anche il fuoco lascia un residuo indistruttibile.
Abbiamo creduto nei sogni spazzatura di quel secolo e adesso non riusciamo a svegliarci. Tutti questi ipermercati, queste comunità cintate. Una volta che le porte si chiudono non si può più uscire.8

Dove ci trascina questa potente brama, che per noi è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in questa direzione, laggiù dove fino ad oggi sono tramontati tutti i soli dell’umanità?1

Voi credete che sia necessario andare nello spazio?

"Un topo ha dato un morso a mia sorella
Il suo braccio si è gonfiato
E l’uomo è sulla luna
Non posso pagare nessun debito ai dottori
Però l’uomo è sulla luna
Mi hanno aumentato l’affitto
Perché l’uomo è sulla luna
Niente acqua calda, niente gabinetti, niente luce
Però l’uomo è sulla luna
Le tasse si mangiano tutto il mio stipendio
Con tutti i soldi che ho fatto l’anno scorso
Per mandare l’uomo sulla luna
Penso proprio che manderò i conti
All’uomo sulla luna 9

Ci sono naturalmente molte obiezioni a queste spedizioni. Accuse che dichiarano che questi soldi si tolgono alle scuole, ai ghetti e così via. Non sono d’accordo. Il denaro in sé stesso non cambia necessariamente la situazione. I governi sono sempre stati degli sfrenati spenditori di soldi. Male, senza dubbio, ma lo sperpero può venire giustificato qualora permetta l’inventività, l’originalità, l’avventura. Sfortunatamente i risultati sono per lo più e, usualmente, corrotti, creando ricreazioni da parvenue.
Una spedizione sulla luna costituisce senza dubbio una superba impresa di relazioni pubbliche. È un grandissimo show. Circhi, luccichii. Gli Stati Uniti diventano i più grandi dispensatori di divertimenti fantascientifici. Eppure qualcosa di serio si verifica all’interno. L’anima avverte la grandezza di questa conquista. Non andare dove uno è in grado di andare può provocare un arresto. Io credo che l’anima lo senta, e di conseguenza diventa una necessità. Può introdurre una nuova sobrietà. Gli astronauti possono non sembrare tanto eroici. Ma venir visti piuttosto come dei super-scimpanzè. Non si esprimono in bello stile. Ma dopo tutto, questa è la funzione dei poeti.10

Legati insieme dalle catene del giudizio universale
Come povere scimmie attraversano questa inquieta pianura
Bagnati dal dolore di una pioggia malvagia
Non si fanno domande su questa ricerca senza fine
Se e quanto ne valga la pena
Non possono essere salvati da questa eterna maledizione
Fuggi con me dal pianeta terra11

Esiste un universo dove possiamo riversarci. L’invito al viaggio, il desiderio di Baudelaire di uscir fuori, fuori dalle circostanze umane, o la bramosia di essere una nave ubriaca, o un’anima il cui ardente desiderio è di spezzare un universo chiuso, è tuttora reale.

Fuggi con me in questa buia notte, sempre così fredda
Fuggi con me da tutto ciò che fa male
Fuggi con me dal pianeta terra
Dammi un ultimo bacio
La mia unica perdita quando lascerò questo mondo
Ho caricato la mia mente con un cicalino elettronico
C’è un improvviso scossone
Scapperemo insieme dal pianeta terra11

Un solo pianeta non ci basta più. Né possiamo rifiutare il fascino, la sfida che ci presenta un nuovo tipo di esperienza, non accettare quest’opportunità farebbe si che questa terra ci sembrerebbe sempre più una prigione. Se noi potessimo spiccare il volo e non lo facessimo condanneremmo noi stessi. Allora, molto meglio la luna.10

Siamo su un suolo roccioso, in una zona relativamente pianeggiante con crateri larghi dai due ai 17 metri. Vediamo delle alture. E vi sono piccoli crateri di 30 o 60 centimetri a migliaia. Vi sono dei blocchi di roccia davanti a noi di circa 60 o 90 centimetri. Possiamo anche vedere una collina davanti a noi. È difficile calcolare ma penso che sia a circa 800 metri o un chilometro e mezzo da noi. Sembra una vera e propria collezione di rocce di ogni tipo immaginabile, alcune ovoidali.
Cedimenti e crepe nelle montagne e nel fondo roccioso provocati da punte estreme di temperatura. Naturalmente non c’è vento. Cinque miliardi di anni senza vento. Eccetto il vento solare. Detriti di pietra ma senza la normale erosione.
Il panorama non offre colori molto vivi, ad eccezione di alcune rocce con colori interessanti.

Domanda: ci siamo davvero andati sulla luna in quell’estate del ’69?
Risposta: che ci sia stato davvero il celebre allunaggio non ha nessuna importanza.
È come quel detto degli attori, che nulla accade finchè non accade due volte.
Intervento: ma allora…
No. Non una, non due, bensì migliaia di volte abbiamo visto l’uomo con la tuta spaziale scendere dalla scaletta. Lo vediamo e lo rivediamo e lo rivediamo piantare la bandiera a stelle e strisce e riverirla con il saluto militare. Documentari, telegiornali, pubblicità, film, video musicali ci hanno riproposto in quantità ormai incalcolabile alcune immagini icona del XX secolo: Hiroshima, il fungo atomico \ i Beatles, sorridenti sbarcano dall’aereo negli Usa, la beatlemania conquista il mondo\ Kennedy a berlino, la guerra fredda, il suo taglio di capelli, sorrisi, strette di mano, marylin monroe, si dice \ Kennedy a Dallas, l’auto con lui e Jaqueline, viene colpito, veloce cambio di scena \ Martin Luther King, moltitudine di neri in manifestazione, i liberali con il cuore in mano, speranza, pace amore \ l’Apollo 11 , decollo, spazio, luna.
No, cosa importa ormai scoprire che possa essere stata tutta una montatura? A cosa ci servirebbe? A dimostrare che i media manipolano la realtà? Lo sappiamo. Non credo ci sorprenderebbe neppure scoprire nuovamente che il potere manipola i media, è ovvio ed è noioso ripeterlo. È andata così, accettiamolo. Confucio disse, ai suoi tempi, non c’è modo di NON far credere alla gente ciò in cui vuol credere. È ancora così.
Della guerra di troia l’unica versione che conta è quella di Omero, Giulietta e Romeo sono quelli di Shakespeare, come potevano essere realmente, se realmente furono, nessuno mai lo saprà e così via.

"Qui controllo terra, qui controllo terra
Ce l’avete fatta e i giornali vogliono sapere anche la vostra marca di camice preferita.
Adesso è il momento di lasciare la capsula, se ve la sentite.
Galleggio nello spazio in un modo stranissimo
E le stelle sembrano molto diverse oggi
Il vostro circuito si è spento, c’è qualcosa che non và
Riuscite a sentirci?
Sono qui che galleggio
Lontano, sopra sulla luna
Il pianeta terra è azzurro
E non c’è nulla che io possa fare."12

Pensai ai paesaggi planetari che le immagini della Nasa mi avevano insegnato a vedere, quelle vuote distese prive di esseri umani, tempo e spazio avevano alterato le loro prospettive e la città si stava arrendendo davanti a me, la folla e il traffico smettevano il loro clamore e parevano sparire, sulle vie rumorose dominava ora il silenzio di un paesaggio selenico e contemplavo le visioni di un invisibile spazio.
Figure distanti e fugaci, ombre sullo schermo della mia mente, attraverso le quali potevo scorgere gli orrizzonti di un vuoto planetario. Osservavo il mondo attraverso gli occhi elettronici delle sonde spaziali, conoscevo la solitudine di essere separato da ogni altra creatura umana. Osservai con quegli occhi che avevano visto il nulla spaziale. Anche io avevo camminato sulla luna. Sedetevi prego, sì, sono l’astronauta.6

Guardò intorno ancora una volta il paesaggio piatto, deserto, non invitante. Era sulla luna, e con questo? Non gli piaceva per niente. Era sulla luna, e si sentiva terribilmente deluso. In realtà non c’era niente di così eccitante come si era aspettato. Le stelle viste da lì sembravano un po’ più chiare e lucenti che non viste dalla terra, ma non tanto.13

Così il 2000 è arrivato

"Ma chi l’avrebbe detto
Che avrebbe lasciato tutti vuoti
E così poco impressionati?
E' come la nostra visita alla luna
O a quell’altra stella
Temo che si vada per nulla
Se davvero si vuole andare così lontano." 14

Si dirà forse un giorno di noi che nostro destino fu quello di naufragare nell’infinito?
Oppure, fratelli miei? Oppure?1

La luna viene vista come una terra da conquistare, ma che grande differenza con tutte le terre che l’uomo, diciamo occidentale, ha colonizzato: l’Africa, le Americhe, le Indie.
Territori rigogliosi, ricchi di vegetazione, di popoli, di fauna. La luna si presenta come il contrario di tutto ciò, eppure ne siamo attratti. Perché ci ricorda le rovine.
Il fascino delle rovine è che un’opera dell’uomo viene sentita alla fine come un prodotto della natura. La rovina è anche un ritorno alla terra madre. Si ridiscende alla terra e la natura si riappropria di ciò che in fondo era sempre stato suo e che l’opera umana aveva solo momentaneamente sospeso. Il ritorno a casa potrebbe essere allora questo: il ricongiungimento che qui nelle rovine trova pace il conflitto tra il nostro tendere verso l’alto (così connaturato all’architettura) e quell’altra tendenza al basso che pure è in noi. La battaglia tra alto e basso non perviene mai a una sintesi. Salvo nelle rovine dove facendo prevalere un lato e sprofondando nel nulla l’altro ci offre un’immagine della forma sicura e perdurante nella quiete. Questa visione viene portata a perfezione con il viaggio dell’Apollo. La nave spaziale il punto più alto di sviluppo tecnologico umano, quello con il quale ci stacchiamo dal più possessivo dei grembi materni per raggiungere le rovine della cattedrale nel deserto più deserta di tutte, quella dove non si coglie l’idea che la vita abbia una volta abitato qui, 16 bensì che mai alcuna vita potrà mai esservi. Il mausoleo del vuoto, le rovine della tomba del nulla. È questo quindi il grande passo dell’umanità? Polvere alla polvere?


NOTE:
1 Friedrich W. Nietzsche: Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali- Libro Quinto- 575. Noi, aeronauti dello spirito!
2 Da: New Dawn Fades (L' Alba Nuova Svanisce)- Joy Division
3 Da: The Moon Is In The Gutter (La Luna E' Nel Rigagnolo) - Nick Cave
4 Da: Wicked Gravity (Gravità Malata) - Jim Carroll
5 Da: Lo scambio simbolico e la morte - Jean Baudrillard
6 Da: L' uomo che camminò sulla luna - J.G. Ballard
7 Da: The Overload (Il Sovraccarico) - Talking Heads/ From Safety To Where ... ?
(Dalla Sicurezza A ... Cosa?) - Joy Division
8 Da: Millennium People - J. G. Ballard
9 Da: Il Bianco Sulla Luna - Gil Scott-Heron
(Nei versi di questa poesia da noi utilizzati ci siamo presi la libertà di togliere all'astronauta la caratterizzazione di "bianco", pur sapendo di fare così un torto all'autore che parlava dal punto di vista di un Nero americano, quale era. Ma a noi premeva più rimarcare l'idea di un uomo sulla terra che pensa a quanto è costato mandarne un altro sulla luna.)
10 Da: Il Pianeta Di Mr Sammler - Saul Bellow
11 Da: Escape From Planet Earth (Fuga Dal Pianeta Terra) - Alley Cats
12 Da: Space Oddity (Stranezza Spaziale) - David Bowie
13 Da: Il Vagabondo dello Spazio - Fredric Brown
14 Da: Death Of A Ladies' Man (Morte Di Un Dongiovanni) - Leonard Cohen
15 Da: Visioni Di Città - Paolo Perulli

Nelle note sono citate le fonti degli originali da cui abbiamo estratto brevi passaggi che non sono da intendersi riprodotti fedelmente, al contrario: sono stati da noi modificati (a volte in modo violento, come spiegato a nota 9), mescolati tra loro, insieme a cronache d'epoca - "Corriere della Sera", 21 luglio 1969 - e a nostri stessi scritti, con l'unico criterio del nostro gusto.

Guida sonora alla lettura:
Cluster - Cluster 71
Registrazioni audio del decollo di Apollo 11


Dove

a cura di Claudio Stanardi

Dove

L’ architettura non  è solo un fatto di scatole e forme. L’architettura è un linguaggio che esprime le speranze e le paure dei suoi costruttori, le loro aspirazioni. Ma quando l’architettura non ha nulla da dire le pietre diventano un linguaggio misterioso ed ostile e gli abitanti si fanno nervosi e incomprensibili l’uno all’altro.

Non c’è niente, interi isolati del nulla più totale. Nessuna libreria, nessun negozio di dischi, solo autolavaggi, solarium, fast food all’americana, pizza al trancio, agenzie di viaggi nel vuoto, finanziarie che riciclano soldi sporchi, cooperative che riciclano gente dal basso potenziale commerciale, kebap per mutanti e supermercati e parcheggi.

Qui un tempo era solo campagna, qualche casa di contadini, non era neppure un paese solo una frazione. Poi venne la Grande Fabbrica. Molti operai venuti da altrove, il proprietario fece costruire alloggi per loro. E la Grande Fabbrica portò l’indotto, piccole attività tutt’attorno. Nacque un paese. Senza radici. Senza identità.

Sono così vuoto, non ho superficie né profondità
Oh, per piacere non potrei essere uguale a voi?
La vostra personalità è così grande
Come i nuovi palazzi: squadrati e tutti uguali.

(da: N.Y. Stars- Lou Reed)

Sotto i piedi scricchiolano le siringhe e i cocci di migliaia di bottiglie di birra e vino. Gli anfratti dell’immondizia cospargono i punti pulsanti della notte. I palazzi si ammassano emanando un orribile calore. Su ogni facciata del cortile c’è un murale che alla luce blu strisciante non si riesce a decifrare.

Un intrico di fili per la biancheria, spogli, tranne una maglietta da bambino che sembra lì da anni. Pozzanghere, chiaramente non di pioggia, negli avvallamenti del selciato. Orribili graffiti seguono come millepiedi i gradini sconnessi. Una spirale rovesciata di cemento e ombre, la scala del caseggiato trascina su dal fondo marino disabitato del cortile – niente può vivere a queste pressioni disumane- attraverso strati superiori che sanno di cibo da quattro soldi, mogli picchiate e urla di bambini.

Ammonimenti raggelati da innumerevoli riflessi
Si leva un sorriso dai tuoi occhi ai miei
Ammonimenti raggelati vicini al confine raggelato

( da: Frozen Warnings- Nico)

Si, non c’era identità, non c’era storia. Non c’erano antiche mura, castelli o cattedrali. Nessun mito, nessuna leggenda, nessun personaggio famoso era venuto fuori da lì, che strano affare vivere la propria vita in un luogo di cui il resto del mondo ignora l’esistenza, è come quel detto sull’albero nella foresta: “quando cade fa rumore se nessuno lo sente?”

Forse non sarà una gran consolazione se vivete in qualche piccolo paese del sud Italia oppressi dal crimine, dalla miseria, dal degrado sociale, pensare a quanta storia a quanta umanità è passata fra queste colonne stagliate tra il cielo e il mare e che ora servono magari solo alla privacy di qualche tossico mentre cerca di prendersi la vena obliquamente, però aiuta a trovare una propria collocazione nel tempo e nello spazio. Ti collega in qualche modo alle strade maestre dell’umanità, pensi di essere parte di un grande meccanismo i cui componenti vanno assemblati nella giusta sequenza, quindi accetti il tuo ruolo nello schema, quale che sia, cosicché alla fine esso risulti completo.

Certo quando la gente venne qui, all’inizio, attirati dalla fabbrica nessuno si poneva il problema dell’identità, avevano il problema di trovare un lavoro. Ebbero il lavoro.

Certo, gli immigrati dal sud non hanno mai smesso di rimpiangere il clima del paesello natio, certo il contadino non ha mai smesso di ricordare come era bello guardare il tramonto sui campi con un filo di paglia tra i denti (soprattutto a distanza di un paio di generazioni e dopo averlo appreso da un’infinità di film mielosi) ma in fondo il solo significato del lavoro industriale per la maggioranza degli operai era nella busta paga e in nessun’altra cosa collegata con il lavoro o con il prodotto. E quindi si lavorava si risparmiava, si raggiungeva il benessere.

Alla domenica le persone giravano nella piazza del paese, camminavano in circolo e quando si fermavano ripercorrevano insieme fili di conoscenze, reti di amicizie.

Si socializzava, come si dice oggi, questo, oggi, si svolge nei grandi centri commerciali. Ce ne sono molti negli entroterra. Le piazze vengono usate dai ragazzini come piste da skateboard, e quando cala la sera altri giovani si prodigano in rumorose gimkane con i loro motorini, altri ancora vi bivaccano bevendo birra in bottiglia, sfumazzando canne e infine imbrattando ogni  superficie con bombolette di vernice, infiniti graffiti senza significato, encefalogrammi in cerca di un cervello. Oppure vi trascorrono le inutili ore del tempo libero extracomunitari di etnie varie, ripercorrendo insieme fili di conoscenze, reti di amicizie...

Giunte comunali hanno dedicato spesso simili piazze a celebrità del ‘900,tipo John F. Kennedy, Gandhi, John Lennon, M. L. King. Sorvoliamo pure sul colonialismo culturale di questa toponomastica che completa e conclude istituzionalmente l’opera iniziata privatamente dai Mcdonalds, blockbuster, multisala Warner Brothers, e supermarket, e da tutti i bar, baretti e discoteche pomposamente e a volte sgrammaticamente, battezzate Hollywood, Beverly Hills o con qualunque altro nome tratto dalle serie tv americane più di successo, sorvoliamo tutto questo e limitiamoci ad osservare come è surreale piazza Gandhi messa lì in mezzo al nulla. Spesso i frequentatori della piazza ignorano chi fosse di preciso il tale a cui essa è dedicata, raramente si soffermano a leggere e a riflettere sulla frase celebre che immancabilmente è stata incisa sull’altrettanto immancabile stele – sempre anonima e bruttina.

"Ho fatto un sogno."
"Diamo una possibilità alla pace."
"Ich bin ein berliner."

Un presidente americano afferma di essere un berlinese nella piazza di Cerate, davanti a un senegalese ( inoltre pochi non tedeschi sanno che il termine berliner designa anche una ciambella ripiena ).

Queste frasi fanno l’effetto della bandiera statunitense piantata sulla luna. Viene da pensare a quei razzi lanciati nelle siderali infinità dello spazio in cerca di altre forme di intelligenza, portando come messaggio registrazioni di Mozart, formule matematiche. A chi mai dovrebbero arrivare? C’è qualcuno là fuori? E se sì, capirà mai cosa cercavamo di dire?

Fino a tre anni prima vi pascolavano le mucche dei principi trivulzi, ora il luogo si presentava così:

prati pelati, strade deserte, ciminiere fumanti e in mezzo si alzavano otto palazzi di otto piani ciascuno affiancati l’un l’altro. E questo si ripeteva per altre otto volte in altrettanti isolati di otto piani in una simmetria ottagonale da far venire la claustrofobia solo a parlarne.

Ecco una grossa scatola
Con la scritta scatola
Se l’apri trovi dentro una scatola
Con la scritta scatola
Tratta da una scatola
Con la scritta scatola
E dentro una scatola
Con la scritta scatola
E così via

Ma qui parliamo di case, caro signore, non di scatole. Ci vivono persone, con i loro frigoriferi, i loro televisori e computer e armadi con cassetti, i loro telefoni, cosa mi dice di loro?

Una scatola con la scritta scatola
Se l’apri trovi dentro una scatola
Con la scritta scatola
E così via e se procedi in tal guisa
Troverai dopo infiniti sforzi
Una scatola che solo nella tua immaginazione esiste
Un’assolutamente vuota scatola.

(da: Modello gnoseologico- Hans Magnus Enzensberger)

La differenza fra una incondizionata adesione a questo sistema e la ribellione preconfezionata consiste solo nel dove credi di vedere la porta della gabbia nella quale sei ansioso di essere rinchiuso perché la cattività ce l’hai nel sangue.

In definitiva si può solo scegliere tra vivere nei propri incubi o in quelli degli altri e coloro che si aggiudicano il controllo del sistema non fanno che imporre i loro sogni a tutti gli altri.

Immaginate di camminare lungo strade confuse di distruzione, post-civilizzazione, cani randagi che mangiano rifiuti, il vento che striscia attraverso i rami secchi. È il 1984. l’unica realtà che sta aspettando. Mortale. È la società della fabbrica della morte, un suono gracchiante, meccanico e ipnotico, musica di disperazione. Una colonna sonora che copre l’olocausto. Tantra del subliminale, il mondo che cade, le immagini che cadono. Nella nostalgia di sentire una musica tribale infinita e del tutto sterile. La tribù delle mutazioni, gang di strada lobotomizzate nella fabbrica della morte. Non finisce mai. I bambini della tv cercano di prepararsi, di meditare, smettono di esistere.
(Da un comunicato stampa per il debutto dei Throbbing Gristle)

O forse è solo il fine settimana e gruppi di ragazzi si preparano ad una serata in discoteca. La gente vuole sempre trasformare tutto in una specie di apocalisse quando in realtà è solo  la loro minuscola cultura che se ne và in malora, ma è pur sempre qualcosa a cui attaccarsi, un abito da mettersi, se però non c’è nemmeno quella minuscola cultura che succede? Ci si guarda allo specchio e lo specchio non riflette alcuna immagine.

Mondi interiori, solitari e allucinati, dove spesso l’unica presenza umana sembra essere l’occhio passivo del visitatatore.

Due drogati terminali all’ultimo stadio erano seduti contro il muro di un vicolo senza niente da iniettarsi, niente di niente. Uno soltanto aveva un cappotto. Faceva freddo e uno dei drogati terminali batteva i denti e sudava e tremava per la febbre. Stava seduto contro il muro con la testa sulle ginocchia. Questo succedeva a Gavirate o Garbagnate o Eliminate in un vicolo dietro il centro di raccolta differenziata. Il drogato terminale col cappotto se lo tolse e lo stese in modo che li coprisse tutti e due. Rannicchiati insieme il drogato che aveva diviso il cappotto circondò l’altro con un braccio e lasciò che si sentisse male sul suo braccio, e rimasero così insieme per tutta la notte. Quiz a sorpresa: quale dei due è sopravvissuto?
(da: Brevi Interviste Con Uomini Schifosi- David Foster Wallace)

Tempo zero sui binari malati
Per lungo tempo tra i soli reggevo il frusto cappotto
Scivolando tra luce ed ombra
Attraverso le galassie che intersechiamo, veleno di sole morto si spegne lentamente nel tuo cervello
Vento montano di saturno nel cielo del mattino
Dal trauma della morte
Poi uno stanco addio

Il guaio è che gli architetti si sono messi a fare gli artisti e le loro opere spesso non tengono in conto la destinazione d’uso. Le costruzioni perciò non vengono più progettate per essere vissute ma per essere ammirate. È un florilegio di barriere architettoniche, di luoghi dove le persone non passeggiano ma transitano, canali di scorrimento veloce, se è stata prevista qualche zona di sosta solitamente è ubicata fra pareti opprimenti, rifiutate perfino dai manifesti pubblicitari, magari in prossimità di condizionatori rumorosi, arredata con panchine scomode e brutte e genialmente sistemate in modo da non poter osservare la gente che passa ma chi passa è quasi costretto a vedere chi è seduto, e chi è seduto lì finisce col sembrare un disperato, perché solo un disperato potrebbe starsene fermo in un luogo simile, una sala d’attesa dove non c’è nulla da attendere. Quindi le panchine sono sempre vuote eccezion fatta per qualche abbruttito, la cui espressione in tema con l’ambiente sembra dire:

“qui mi viene dimostrato che mai possiamo comprendere la totalità dell’esperienza umana perché mai riusciamo ad avere una visione frontale di essa.”

Tutto quello che abbiamo amato è andato perduto: ci troviamo in un deserto… davanti a noi c’è solo un quadrato nero su fondo bianco.

Esiste una forma di tortura, utilizzata in campo scientifico, che viene definita deprivazione dei sensi. Il soggetto dell’esperimento viene privato di ogni percezione sensoriale, ad esempio rinchiudendolo in un cilindro colmo d’acqua; il contenitore è buio, isolato acusticamente e inodore. La percezione tattile viene eliminata dall’elemento fluido. L’analogia sociale con questo esperimento sarebbe l’isolamento in cui certi credenti si costringono a vivere. Ancora più radicale per gli immigrati che sviluppando una mentalità da assediati si sentono a loro agio solo nelle cantine, nei garage o in qualunque altro tipo di bunker adibito a moschea,  rimangono completamente all’oscuro di ciò che accade “fuori”.

Nei piccoli centri le occasioni di confronto con altre scelte di vita sono assai meno che nelle grandi città, sotto certi aspetti la vita dei credenti integralisti assomiglia a quella dei terroristi:  usufruiscono soltanto di un linguaggio fortemente deformato. (la perdita del linguaggio e quella del senso del reale rappresentano due facce della stessa medaglia).  I credenti integralisti vivono in un  ambiente analogo a quello delle cosiddette “istituzioni totali”. Con queste intendiamo soprattutto le case di riposo, gli ospedali, i penitenziari nonché le cliniche psichiatriche. Chi vi è rinchiuso non può disporre del suo tempo; la sfera privata non esiste; i reclusi sono sempre isolati ma mai soli; le rituali umiliazioni sono all’ordine del giorno. Dopo anni di esercizi spirituali di simile fatta compaiono incomunicabilità, apatia, logopatia, impotenza, ipersensibilità, inquietudine, aggressività, si arriva ai deliri e alle allucinazioni. E come terroristi si fanno saltare in aria, prima in senso figurato e poi sul serio, tirandosi dietro tutta la famiglia. Gesti inspiegabili. Guardiamo costernati, senza capire. E non osiamo chiederci chi sarà il prossimo.

È qui, dove la battaglia infuria che mi piace stare. Perché queste aree suburbane, più dei centri storici, sono il vero terreno della battaglia psichica, il fronte d’onda del futuro. Nelle città satellite non solo magari ti scippano mentre cammini per strada, quello può capitarti ovunque, ma possono rubarti l’anima, letteralmente, possono rubarti la voglia di vivere. Le catene di distribuzione ti strappano l’immaginazione e altro ancora.

Tane di conigli. Piccionaie. Poligoni di tiro in cemento, fonderie abbandonate, silos di vecchi consorzi che sembrano capsule spaziali fracassate, sfasciacarrozze, cementifici, tabelloni pubblicitari, catene alberghiere, discariche a cielo aperto, parcheggi, cavalcavia di autostrada, bottiglie frantumate, rottami arrugginiti, binari morti, periferie di aereoporti, ecco dove molti vivono. Anche se non lo sanno, a parecchi piace e non sarebbero in grado di abitare altrove: adorano l’alienazione. Non c’è né passato né  futuro. Anche quando potrebbero evadere, in quello che ormai impropriamente viene chiamato tempo libero, scelgono le zone prive di significato: aereoporti, centri commerciali, autostrade, gardaland, parcheggi. Sono in fuga dal reale.

Ci sono ,al riguardo, parecchie agenzie turistiche in questi paesi. Rappresentano un altro ideale di divertimento organizzato per gente senza immaginazione. Veicolano l’idea che il massimo della vita sia essere le caricature delle pubblicità più pacchiane. Arredo di prestigio, tanti strumenti elettronici, grigliate sulla spiaggia con un barbecue da diecimila euro, raffinati refrigeratori per i Martini, bere pepsi in magioni ridicole, circondati da ragazze e idromassaggi  il tutto mentre indossi vestiti fantastici.

Nei fatti “il tutto” si riduce ad andare in villaggi turistici, uguali fra loro in qualunque parte del mondo, differenti solo nei depliant: su questo le piramidi, su quell’altro i nuraghi, su quell’altro ancora dei barboni col sombrero, il giro del mondo a misura di telefilm.

Parlare di provincia o di entroterra presuppone un centro di facile e comune identificazione, arbitro incontrastato della vita o dello spirito, ma oggi che questo compito è svolto dalla televisione e le grandi capitali valgono al massimo come centri di smistamento possiamo ben dire che l’hinterland è ovunque perché il centro del mondo non è più da nessuna parte.

Notte.

Le sirene degli allarmi antifurto s’inarcano verso l’alto con una serie di folli grida da pterodattili, i TIR scavano buche nell’asfalto come grandine, i motori delle auto nelle gare clandestine sembrano un raid aereo, un fracasso stupido prima di schiantarsi e tutto viene risucchiato via dal ronzio degli apparecchi elettronici nelle case dormienti:

ecco, sono solo le ennesime informazioni morte di cui ci si libera.

 


(Testo, dove non diversamente indicato, ottenuto adattando piccole parti e frasi sparse liberamente scelte da interviste o scritti di: David Thomas, Lester Bangs, Gaetano Savatteri, Stanardi, Alan Moore, Malevich, J.G. Ballard, Jean Baudrillard).

Guida sonora alla lettura

-K. Stockhausen: Hymnen (region 3+4)

-Pere Ubu: Sentimental Journey