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Claudio Arnaboldi "Stanardi"

Logorroico e prolisso, della poesia non ama "quel dire in poche righe ciò che potrebbe essere raccontato in molte pagine".
Poeta? "Io sono sempre un poeta, tranne quando scrivo poesie."
La scuola: "Le poesie dei programmi scolastici erano così meste. Senza corrente, niente automobili, sembravano le case dei nonni, piene di cose vecchie, vetri opachi e malattie. La malinconia pareva essere l'unica cosa su cui si accentravano. Non ero io e quella non era la mia vita. Iniziai a scrivere versi dopo essermi avvicinato al
rock...."
Varietà: "Non ricerco uno stile unitario in quello che scrivo. Il mio compito è dare voce a dei personaggi e ognuno di loro ha il proprio modo di esprimersi, anche
se poi si può trovare un minimo comun denominatore nel ritmo delle parole. Sono una sezione ritmica rinchiusa nel corpo di un uomo di penna."
Stanardi: "Lo pseudonimo lo vedo come un abito di scena. Un modo per separare la mia quotidianità da ciò che scrivo. Stanardi non porta fuori la spazzatura, non va
alla posta per pagare le bollette , queste cose le faccio io. Usare uno pseudonimo è segnare il confine oltre il quale ci sono gli argomenti che contano davvero, per me almeno. Ah, non intendo in senso autobiografico."
L'Acarya è anche per lui il luogo dove poter esprimere la sua produzione poetica, ma soprattutto dove può parlare dei suoi autori preferiti e dei temi che più lo appassionano mescolandoli in un calderone di sociologia spicciola, letture teatrali e saggistica durante quelle serate definite per amor di semplificazione "divulgative".
Il suo pensiero più profondo? "Considero il calcio una cosa da poveracci." Non sappiamo se lo intenda sul serio.

 

LA NOTTE CHE TORNAI

Sono calato in quella cittadina
come la tempesta
accompagnato dall'ombra di cani morti

La mia città natale
la mia amata città natale
uno spirito in ogni cosa
ogni fuggitivo al suo rifugio

C'è disagio nell'aria
di finestra in finestra
si spengono le lampade
solo dalla piccola cappella
viene una luce
lì le vedove in scialli neri
vegliano e pregano
ma non pregano per me

In questa notte di plenilunio
i dementi fanno abluzioni
di rugiada bianca
i delfini guizzano tra le nubi
e io sto arrivando da te

Ah, i roseti si ritraggono
al mio passaggio

con un battito d'ali la malasorte
viene a posarsi sulla mia spalla
e mi sussurra ciò che ho già capito
guardando la tua porta:
non ti troverò

Non c'è nessuno a casa
non c'è pane da spezzare
nessun amore da suggellare

Le stanze sono spoglie
questo vuoto toglie
il fiato all'universo
riempie di condanna
tutta la strada
fino a qui percorsa

Un treno si allontana nella notte
per andare ovunque lontano da me

Un ubriaco lancia una sfida
che nessuno raccoglie

Raggiungo i binari
inseguito
dai cani
inizio a correre

a correre